Ritrovare il senso del lavoro
- Aficionados

- 1 mag 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Articolo di Leonardo Frascaria

Oggi ricorre una delle più importanti festività civili, la Festa dei Lavoratori, data che celebra la conquista di tutti i diritti inerenti al lavoro. Dopo 130 anni dalla ratifica dell’Italia per celebrare questa festa, corre ancora oggi il rischio di uno sguardo riduttivo al mondo dei lavoratori nonostante sia ‘’forma mentis’’ la tutela per quest’ultimi. Questo giorno spinge pertanto a delle considerazioni. La mentalità dominante agisce secondo schemi. Ma questi sono riduttivi poiché sono, appunto, di pochi, di un parte politica, di una determinata ideologia e non considerano l'uomo nella sua integralità. Questa riduzione è particolarmente evidente nel mondo del lavoro. Infatti il rischio di uno sguardo riduttivo, è quello di guardare al lavoro come un mero modo di produzione o ad una modalità di reperimento del denaro. Oppure la riduzione dell’individuo alla semplice attività che svolge, come se la sua dignità dipendesse interamente da quest’ultima. Ma il lavoro è ben altro, e in quest’ottica si esclude la grande parola costruttiva per un ideale che da sempre lega questo mondo: la fatica. Lavorare porta fatica, e quest’ultima esige significato. Allora cos’è il lavoro? Cosa porta gli uomini a faticare? Semplice, il lavoro è un bisogno. Un bisogno che racchiude esigenze e desideri che spingono l’uomo a realizzare se stesso, a mettersi in azione. Il motore che produce in noi bisogni, esigenze e desideri che ci spingono a tendere alla felicità, sta dentro di noi, e la Bibbia lo chiama cuore. Solo in quest’ottica la fatica acquista un senso, e soprattutto se i lavoratori vengono guardati come uomini che tendono alla felicità attraverso il bisogno del lavoro, quest’ultimo diventa nobilitante per l’uomo stesso. Anche da parte dei lavoratori, spesso questa attività è vista come una schiavitù o uno sciagurato mezzo per arrivare a fine mese con una insignificante soddisfazione. Possiamo quindi affermare che al fianco di una crisi occupazionale vi è una crisi di significato, e questa ricorrenza, da sempre legata ad una visione marxista, spesso non ha fatto altro che diffondere pensieri distorti sul mondo del lavoro. Il cristianesimo invece introduce un’importante novità: il lavoro è sì un mezzo, ma strettamente connesso al raggiungimento della felicità eterna. Ogni istante della nostra vita è un’occasione per riconoscerLo, e in queste occasioni rientra anche il lavoro. Questa è la novità del cristianesimo, un Dio che si fa uomo e compagno di ogni aspetto del vivere fino al dettaglio banale come ad esempio raccogliere le spighe di grano. La conseguenza è che cambia totalmente il nostro atteggiamento, ci permette di alzare lo sguardo e di non essere incatenati ad una visione del lavoro come schiavitù dal capitalista o come peso da sopportare per sostenere la propria famiglia. Ecco perché la Chiesa, che è madre, ci da questi insegnamenti: infatti il 1° Maggio 1955, con l’allora papa Pio XII, fu istituita la festa di San Giuseppe Lavoratore, per aiutare i lavoratori a non perdere di vista il senso cristiano del lavoro, turbato spesso dalle insidie del marxismo, affermando la vera dignità del lavoro umano, come dovere e perfezionamento dell’uomo e come prolungamento dell’opera del Creatore, ricordandoci che il lavoro rientra nel piano divino che eleva l'uomo alla santità. Ecco perché spesso emergono ingiustizie nel mondo del lavoro, perché vi è una crisi di senso. Soltanto in una visione cristiana può nascere una vera tutela dei lavoratori e una vera politica occupazionale
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