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A Cesare quel che è di Dio

Articolo di Michelangelo Socci



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Il grande problema degli atei è che non fanno altro che parlar di Dio. È quasi una monomania. Inizialmente è intrigante, ma alla lunga non può che annoiare. Per questo si finisce sempre per discutere. Se infatti noi cristiani analizzando la realtà risaliamo a Dio, gli atei analizzando Dio si dimenticano della realtà.


Basta vedere cosa dicono dei preti. A sentir loro sembra quasi che i sacerdoti oltre ad essere uomini di Chiesa siano anche uomini di fede, manco fossimo nel Medioevo.

Accusano ingiustamente i sacerdoti di vivere il loro ministero come se avessero ancora fede in Nostro Signore. Ma, mi chiedo, cosa devono fare di più i nostri ministranti per scagionarsi da queste oltraggiose accuse di fedeltà?


Si pensi a quel che è successo durante il lockdown. Vescovi e preti le hanno pensate tutte per evitare che il popolo potesse partecipare alle messe. Era pur sempre il governo Conte a chiederlo. Bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, dunque facciamo in modo che Dio diventi proprietà di Cesare ed è fatta.

È vero: la messa è il cuore pulsante della nostra Fede. È il momento in cui Gesù in carne ed ossa ci raggiunge… Ma bisogna pur rispettare i decreti, dato che il Giorno del Giudizio bisognerà render conto dell’obbedienza a Giuseppi. Poco importa che sospendendo le messe venga violato un diritto costituzionale base. Nell’articolo 19 della Costituzione si legge: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.


Invece hanno vincolato la vita sacramentale dei cattolici al beneplacito del governo. Ci siamo dimenticati che quando la Chiesa combatteva le grandi carestie e pestilenze della storia, lo Stato italiano non era neanche lontanamente vagheggiato. Durante la peste del 1576, San Carlo Borromeo si prodigò in mille modi per assistere nel corpo e nello spirito i malati. Inoltre “ordinò che i sacerdoti celebrassero la Santa Messa nelle piazze, nei luoghi pubblici delle strade – all’angolo delle strade – per moltiplicare le messe in modo che la gente potesse assistere dalle loro finestre”. L’ha raccontato il vescovo Athanasius Schneider, che ha pure spronato conferenze episcopali e Santa Sede a “insistere affinché i governi diano alle chiese almeno gli stessi diritti (…) che danno ai negozi dove la gente può comprare il cibo (…). Se il governo nega alla chiesa gli stessi diritti che danno a un negozio, allora questa è una discriminazione della religione.”


Purtroppo, i timori di Schneider sulla discriminazione religiosa erano fondati. Un episodio su tutti come esempio: ad aprile alcuni ragazzi hanno girato un video chiedendo alla Cei di tener presente il loro desiderio di tornare alla Messa. Caricatolo sul web, sono stati coperti da beffe e insulti. La scure dei social si è abbattuta su di loro ed era lo stesso plotone che in quei giorni ha graziato i cortei del 25 Aprile (svoltisi in pieno lockdown). Tra i boia virtuali c’erano anche molti cristiani, armati delle solite accuse di fariseismo e ipocrisia.


È il dramma di una società senza Dio e di una chiesa senza Cristo.

Certo: se fossimo andati a Messa avremmo rischiato di più. Ma forse, se i nostri pastori fossero anche padri, avrebbero trovato modi prudenti e sicuri per non abbandonare le loro pecorelle davanti all’avanzare della tenebra ruggente.

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